GIORNALEMETAL.IT – VOTO 9/10

Come si procede quando ti tocca recensire un album di una band che conosci personalmente, soprattutto se con qualcuno di loro, condividi anche la quotidianità di una realtà come quella di Facciamo Valere Il Metallo Italiano?

Semplice, lo fai con la massima onestà!

Sia perché,in caso contrario, snatureresti te stesso, sia perché svaluteresti la band in questione…

Eccomi quindi alle prese con gli Old Bridge, di Silvia e Shinobi, con i quali ho condiviso gli ultimi due anni di vita della band e di gestazione di questo “Bless The Hell” che, con le sue dieci tracce più intro, si è affacciato ad inizio 2020 nel mondo discografico dell’autoproduzione, anche se è fresca la notizia di una distribuzione da parte di Black Widow Records!

I brani contenuti all’interno di questo lavoro sono stati affinati e rielaborati nel corso di questi anni e, in alcuni casi, si sono rivestiti di un fascino decisamente molto raffinato che li ha resi molto interessanti e competitivi rispetto agli esordi.

Pur partendo da un metal molto classico, con venature di hard rock, la band ha introdotto al suoi interno delle sonorità che spaziano in alcuni frangenti verso lidi doom e persino blues, segno che all’interno del gruppo coesistono entità anche diverse, trovando un amalgama mai scontato e, proprio per questo interessante e creativo.

Dal punto di vista lirico sarebbe facile liquidare la band col mero riferimento alla figura più importante della loro Firenze, visto anche la chiara citazione del titolo, ma l’Inferno di cui i nostri ci parlano, non è esclusivamente quello dantesco, bensì quello umano, quotidiano, reale…non necessariamente simbolico e velato da figure retoriche…

Sin dall’opener “Do It Or Not”, che ci porta, come in un flashback, alla scena che precede un suicidio, anche se fortunatamente, evitato all’ultimo momento, ma con i sensi che chiaramente hanno impresso l’immagine… la pistola fredda al tatto e l’odore della polvere che impregna le narici…

Ed ecco che al momento tragico si contrappone, seppur temporaneamente, quello della speranza…quello della risalita…

“The Time Of Dreams” parte con le 4 corde di Shinobi che aprono la strada al cantato inizialmente basso di Silvia, e pian piano è scosso dal martellare di Nico e dalle chitarre di Damiano e di Alessandro.

La scelta però è quella di non alzare di molto la velocità del pezzo, mantenendola invece su quella di un mid tempo sorretto da un ritornello che entra subito in testa e che si fa cantare, prima di dare spazio ad uno degli assoli presenti in questo lavoro.

Dopo la boccata d’aria, la nuova presa di coscienza di ciò che significa sperare…un tormento continuo…un incubo…ed è così che arriviamo a “Salvation”, uno dei brani che ho visto davvero maturare e crescere durante le esecuzioni live e le rielaborazioni, arrivando a divenire uno dei miei preferiti, forse anche perché in questi pezzi traspare sempre il vissuto di chi li ha scritti e composti e questo li rende così spontanei e veri.

“Angels Could Cry” è il brano che, apparentemente, non ti aspetti, ma è quello che, sin dal primo ascolto live, mi ha sempre sconvolto…una ballata blueseggiante, con un testo struggente che ti lascia pieno di cicatrici e dentro e fuori…ancora una volta un assolo devastante che va a completare le immagini dipinte da Silvia…con liriche molto personali, che lascio a voi il compito di interpretare ma, tenete bene a mente che…sì anche gli angeli possono piangere!!!

E se Lucifero, arrivato in incognito in Paradiso, trova che anche ai piani alti non si sta poi così diversamente e se la ride beffardo, i nostri scomodano Orff e la sua Carmina Burana, che rese famosa la poesia medievale di “Fortunae Plango Vulnera”, come accade in “Rage In Paradise”; subito dopo tocca all’ottantiana “Pleasing The Lord” farci riassaporare la bellezza di esser peccatori davanti all’Immenso e poter poi sfidare ancora la sorte quando, malgrado troneggi il “Game Over” sulle nostre vite!

Eh sì, perché la giostra riparte, e accellera sempre più per portarci fino a quello che sarà il “My Best Day”, nel quale la resa dei conti è palese, ci si scrolla di dosso le sventure e si impugna l’arma dalla parte del manico, pronti ad affrontare il nemico nello scontro finale!

Questo è il brano che dal vivo esplode più degli altri…con la band che sale in cattedra e pesta, senza sosta, mentre la voce di Silvia prende sempre più piede e può, finalmente sputare in faccia la realtà dei fatti, non c’è più il dover sussurrare le cose, ma si può e si deve urlarle “dritte in ghigna”, ed ecco che si avanza compatti , mentre la chitarra tesse il suo assolo e la ritmica crea un bel muro compatto.

A chiudere, troviamo i due brani che portano rispettivamente il nome della band, ed il titolo dell’album…

Si va indietro nel tempo con “Old Bridge”, brano storico, seppur proposto qui in veste nuova; tributo a Firenze, al suo Ponte Vecchio e al Sommo Dante, con una delle citazioni più famose, pronunciata proprio sulle rive di un altro fiume fondamentale quale l’Acheronte, punto di passaggio tra mondo dei vivi ed Inferi, quegli Inferi…quell’Inferno, benedetto nell’ultima traccia, nuovamente rallentata, con una parte in latino a rendere ancor più intenso il messaggio di questo viaggio in quello che, ripeto è innanzitutto un Inferno interiore e non l’ennesimo “parlar della Commedia”…

Tante sono le cicatrici di cui questo lavoro parla e tante sono quelle che lascia in chi ascolta, e come se non bastasse, ad infierire sulle nostre anime arrivano due importanti figure del panorama italico, che meritano un enorme plauso, il maestro Beppi Menozzi (Il Segno Del Comando e Jus Primae Noctis) alle tastiere, presenti e mai fuori luogo e Paolo Puppo (Will ‘o’ Wisp) a curare, dopo aver realizzato il logo, la grafica dell’album.

Non scomodo grandi nomi da paragonare a questi nostri fiorentini, ma vi invito a gustarvi questo album, fatto di passione e sudore, senza fronzoli, da ascoltare e cantare ad uno dei loro concerti!

“…i stand and you’ll pay…it’s my best day!…”

Voto: 9/10

Francesco Yggdrasill Fallico

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